Sembrerebbe che in Italia lo smart working, o come viene chiamato dalla politica “il lavoro agile”, sia passato di moda.
Siamo usciti dalla fase di emergenza e, da aprile, non è più disponibile il lavoro da remoto, anche per genitori di figli minori di 14 anni e lavoratori fragili.
L’unica possibilità lasciata aperta è quella degli accordi individuali tra azienda e lavoratori.
Ricordiamo che, nella fase più acuta della Pandemia, quasi il 40% degli occupati ha lavorato da remoto, mentre nel 2019 in Italia erano solo il 4%. Sarà quindi un bene o un male questo chiaro orientamento teso a promuovere un ritorno all’ufficio?
I pareri sono discordanti, così come lo erano in Pandemia, tra chi, per le ragioni più varie, preferisce lavorare da casa e chi ritiene che l’ambiente dell’ufficio sia necessario per creare dei team che funzionino e che siano il più produttivi possibile.
Rimane forte l’impressione di avere perso un’occasione per capire come utilizzare al meglio questa opportunità di flessibilità.
Sembra prevalere, in molte Aziende, la percezione dello “scampato pericolo” e la convinzione che tutto tornerà come era prima della Pandemia.
In realtà, le ragioni alla base del successo dello smart-working sono ancora tutte lì e, prima di quando immaginiamo, si ripresenteranno nel mondo del lavoro, senza che gli attori principali abbiano elaborato una strategia per gestire questo fenomeno.