Dalla carota siamo passati al bastone, dicono alcuni esperti.
Molte aziende, in un primo momento, hanno utilizzato incentivi per incoraggiare i dipendenti a tornare in ufficio, ma ora, con l’avvicinarsi dell’autunno, sono passate a misure più coercitive.
Alcune aziende stanno pressando i dipendenti, che continuano a lavorare da remoto, con ultimatum, come chiedere un numero minimo di giorni da spendere obbligatoriamente in ufficio, arrivando a ventilare l’ipotesi di risolvere il rapporto di lavoro.
E mentre prima risultava più difficile portare avanti queste istanze ora, complice un mercato del lavoro meno competitivo, i datori di lavoro si sentono più sicuri nell’imporre queste policies.
La questione di dove e quando dovrebbero lavorare i dipendenti è stata una sfida persistente, sin dall’inizio del COVID-19, con molti manager che credevano che i lavoratori in ufficio fossero più produttivi e coesi.
Alcune aziende stanno adottando una posizione più aggressiva, forse anche per ridurre la propria forza lavoro e operare quei famosi tagli al personale di cui abbiamo già parlato in passato.
Tuttavia, gli esperti avvertono che un approccio rigoroso del tipo “torna o altrimenti” potrebbe portare a una minore produttività e a una minore soddisfazione dei dipendenti rispetto a strategie maggiormente attente alla flessibilità.
Questo fenomeno di progressivo disimpegno dei lavoratori ha già un nome, quiet quitting, argomento di cui sicuramente avremo modo di parlare, in futuro.