Da sempre, una normale vita lavorativa prevede la promozione come un duplice strumento: per riconoscere l’accresciuta competenza e al contempo fidelizzare gli impiegati all’interno dell’azienda.
Tuttavia, questa realtà potrebbe essersi un po’ modificata. Un recente studio americano, che ha analizzato le storie lavorative di più di un milione di lavoratori, dal 2019 al 2022, ha realizzato, infatti, come il 29% degli intervistati abbia lasciato il posto di lavoro nei due mesi successivi alla promozione. E, sempre secondo questo studio, solo il 18% di questi ultimi avrebbe lasciato laddove non fossero stati promossi. Posta in altri termini, la promozione ha portato ad un incremento del 67% della probabilità di abbandonare l‘azienda.
A cosa è dovuta questa impressionante statistica? Come al solito ci ritroviamo a parlare di pandemia e di come questa abbia, senza che nessuno se ne accorgesse, cambiato enormemente la nostra modalità di approccio alla realtà.
In primis, la promozione aumenta l’interesse del mercato per il lavoratore, che quindi può vedersi offerte condizioni più vantaggiose da una diversa società, e dall’altro lato bisogna considerare il fenomeno per cui sempre più spesso la promozione non viene più considerata come un premio in sé.
Ovviamente, le aziende hanno una parte di responsabilità. Durante la pandemia le promozioni spesso erano accompagnate da aumenti del carico di lavoro, ma in parallelo non dall’aumento di stipendio che ci si sarebbe aspettati.
Addirittura, la promozione senza aumento di stipendio era vista come una pratica piuttosto diffusa.
Gli esperti sostengono che nell’attesa di una normalizzazione del mercato del lavoro, i manager dovrebbero fare del loro meglio nel riconoscere e premiare i lavoratori al di fuori del normale ciclo di performance appraisal. E, al contempo, dovrebbero accompagnare la promozione ad una adeguata preparazione e supporto, per ridurre il rischio di abbandono.